14 settembre, 2008

Adolescenti, scuola, mondo del lavoro

Gli adolescenti e i loro problemi appaiono sui giornali solo quando la cronaca nera porta sotto i riflettori qualche vita particolarmente marginale o disperata: bullismo, violenza fatta o subita, autoscatti hard, suicidio (magari per un brutto voto a scuola). Noi adulti tendiamo a dimenticarci di loro: se ci chiedono quali sono i Grandi Problemi del Paese nominiamo il costo della vita, la giustizia, il fantomatico “degrado”, l’immancabile “problema sicurezza”. Loro, gli adolescenti, non ci vengono in mente: pare quasi che il problema non esista.

Eppure sono convinto che sarà questa una delle emergenze principali che dovremo affrontare nel prossimo futuro: opportunità formative sempre più carenti e mondo del lavoro sempre più esigente e precarizzante da un lato, abbandono scolastico e discontinuità degli interventi sociali dall’altro stanno creando un quadro che non potrà non diventare critico, in alcuni territori addirittura esplosivo; soprattutto se mettiamo nel conto la troppo scarsa attenzione della politica.

Un segnale positivo può essere la recente legge regionale “norme in materia di politiche per le giovani generazioni”, che afferma la necessità di politiche organiche, che superino la frammentazione e l’estemporaneità di competenze ed interventi, istituisce l’Osservatorio regionale per l’infanzia, l’adolescenza e i giovani e il Fondo Regionale per le giovani generazioni, che punta ad essere un collettore delle diverse fonti di finanziamento, anche europee. Le affermazioni di principio sono tutte condivisibili, naturalmente, resta poi da vedere se una legge che “dice tutte le cose giuste”, non corra il rischio di restare un bel manifesto, buono per i convegni, o si riesca a trasformarla in una politica davvero efficace e innovativa.

Per esempio, va bene dichiarare che la Regione “persegue l'armonia tra le politiche relative alle varie età per assicurare a tutti risposte adeguate ai vari bisogni, in un'ottica di continuità e di coerenza”, ma vanno poi tradotte in realtà di bilancio: mi ha colpito e fatto riflettere, per esempio, il forte investimento fatto dalla Regione per sperimentazioni innovative in sostegno alla non-autosufficienza: 100 milioni di euro all’anno per tre anni, che si aggiungono ai fondi stanziati normalmente. Nessun impegno di questa portata viene dedicato al mondo degli adolescenti. E’ vero che gli anziani sono sempre di più e con bisogni forti, ma è altrettanto vero che gli adolescenti sono il futuro e più di tutti pagano e pagheranno lo smantellamento del welfare, la precarizzazione del lavoro, il progressivo smantellamento della scuola pubblica: ci vorrebbe quantomeno la stessa attenzione e pari investimenti.

Intendiamoci, l’Emilia Romagna e Bologna presentano situazioni decisamente migliori del resto d’Italia[1], a partire dai dati sulla dispersione scolastica; ma se questo ci conferma l’evidente e sostanziale differenza, nella concretezza della protezione dei più deboli, tra un’idea di amministrazione di sinistra e una di destra, non ci esime dalla necessità di continuare a lavorare, anzi! Non ci può bastare la consapevolezza che qui da noi si “perdono per strada” meno ragazze e ragazzi, l’obiettivo a cui puntare è azzerare il numero di quelli che ancora mollano la scuola e si sentono sconfitti prima ancora di cominciare a combattere, perché dietro a quei numeretti che riporto a fondo pagina, ci sono vite, ognuna delle quali ci riguarda. E non è una frase fatta, un modo di dire: le statistiche sono uno strumento fantastico di analisi e lavoro politico, ma il rischio che sostituiscano la realtà nella percezione di chi fa politica è sempre presente ed è una di quelle cose che troppo spesso hanno snaturato la sinistra.

La mia sensazione è che il Pubblico legga e gestisca separatamente tutti questi fattori senza vederne l’allarmante quadro complessivo. Se solo proviamo a “cucirli addosso” ad una ragazza o un ragazzo veri e usciamo del mondo dei numeri e delle statistiche, in fondo confortante nella sua asetticità, vediamo il presente confuso e senza certezze di un adolescente in carne ed ossa, magari di quelli definiti “svantaggiati”: poco sostenuto dalla famiglia, a scuola non si ritrova e non vede nulla di incoraggiante nel proprio futuro, salvo l’orizzonte della precarietà; adulti spesso ostili e timorosi (l’adolescente in crisi, a disagio è vissuto come minaccia, “ragazzaccio” e “teppista”), altrimenti adulti assenti, che non rappresentano un punto di riferimento, che non lo capiscono e lo ignorano (salvo meritorie eccezioni, come dirò poi); i sistemi di valore, di ideali, sono screditati, comunque estranei, i modelli sono spessi quelli televisivi, media di fronte al quale è in genere lasciato solo ad una fruizione ‘indifesa’, che propone obiettivi irraggiungibili (il successo, i soldi, la fama, veline e calciatori…), a cui nell’immediato si propongono come alternativa solo i soldi facili della piccola delinquenza, l’evasione d’accatto delle dipendenze.

Non sto lavorando di fantasia: parto dai dati delle ricerche sull’argomento, dalle inchieste, poi è un attimo veder prendere corpo ai numeri e alle statistiche, verificarle nella realtà, pensando semplicemente alle vite e ai caratteri di molti ragazzi che incontro nel mio lavoro, nel mio quartiere per esempio al Pilastro (costruito per l’immigrazione, periferia per antonomasia): quelli che passano nelle piazze o nei giardinetti tutti i pomeriggi (quando va bene, sennò sono lì dalla mattina, inanellando infiniti rosari di assenze scolastiche), seduti sui motorini. Quelli che basta un campetto di calcio rimesso a nuovo perché gli brillino gli occhi e perdano quella patina di aggressiva apatia, smettano di dar fuoco ai citofoni e atteggiarsi a teppisti per ritornare in un attimo i ragazzini che sono e correre dietro ad un pallone.

Quelli che a dodici anni se ancora sono a scuola è solo per la infinita pazienza e tenacia di quegli adulti che non li abbandonano (insegnanti, operatori sociali, allenatori sportivi): li vanno a ripescare uno ad uno, spesso malgrado i genitori, che si inventano il laboratorio di giocoleria o il torneo di calcetto, che li ascoltano e costruiscono un rispetto non scontato alternando severità e complicità. Nel mio mestiere li vedo lavorare tutti i giorni e non finisce di stupirmi quella tenacia, la capacità di parlare a ragazzi difficili, a volte arrivati da altri mondi, altre culture, ma accomunati tutti, italiani e stranieri (che però spesso restano separati, in gruppi impenetrabili gli uni agli altri, ed è un problema in più), da una aria di rassegnazione prematura: la consapevolezza che per loro non ci sono le opportunità, le scelte, non c’è “una vita davanti”, che porta alcuni di loro purtroppo sulla classica “cattiva strada” (qualche volta perseguita con caparbietà autodistruttiva), più spesso ad abbandonare la scuola o - quando va proprio bene - ad arrivare “al pelo” a finire l’obbligo e poi consegnare il proprio progetto per il futuro ad un corso professionale, dove “imparare un mestiere” e bòna lè.

E spesso abbandonano anche quello: sono i primi a non aver fiducia in sé stessi, a non credere di poter imparare, studiare, migliorarsi; il messaggio gli è arrivato forte e chiaro, già nei primi anni di scuola (quando non hanno la fortuna di incontrare uno di quelli adulti di cui parlavo prima): sono i “difficili”, le “bocce perse”, gli “impossibili” della scuola dell’autonomia scolastica, delle tre I, dei tagli, dei debiti e dei crediti…Non è un caso che i dati più alti per l’abbandono scolastico emergono nell’istruzione professionale: l’istruzione sta tornando ferocemente di classe, e purtroppo non basta l’impegno di tanti insegnanti per salvare il suo ruolo di emancipazione sociale dai determinati picconatori di oggi, quelli che dietro la nostalgia per il grembiule, il voto in condotta, il maestro unico dei “buoni cari vecchi tempi”, nascondono la nostalgia per la scuola di classe e gentiliana, la scuola elitaria (figlia di quella che Mussolini chiamò “la più fascista delle riforme”), che faceva di tutto per impedire ai figli degli operai di crescere, di avere accesso alla conoscenza, perché aveva imparato fin troppo bene (forse meglio di noi) la lezione di Brecht:
“Ho sentito che non volete imparare niente.
Deduco: siete milionari.
Il vostro futuro è assicurato

Però, se non fosse così
Allora dovresti studiare.”

“Frequenta la scuola senzatetto!
Procurati sapere tu che hai freddo!
Affamato impugna il libro: è un arma.”
Dovremo difendere con le unghie e con i denti la scuola della Repubblica: in questo inizio d’anno – grazie ai tagli – sembra di leggere un bollettino di guerra. Per fortuna la scuola non si arrende, le mobilitazioni si moltiplicano, a partire da Bologna, e tutta la sinistra è chiamata ad essere a fianco di genitori e insegnanti a cui per fortuna non manca la voglia di lottare. O dovrei dire la necessità, visto che, come ha detto qualcuno questo decreto sembra “la spallata finale”!

Tornando in argomento, in un programma di sinistra per Bologna, accanto ai punti più ovvi, casa, lavoro, ambiente, etc. non può, non deve mancare la questione degli adolescenti. Si tratta di un problema trasversale e le competenze sono frammentate: sport e giovani, cultura, salute, sociale, istruzione, comunicazione, proprio per questo ci vuole un progetto politico forte capace di tenere insieme gli interventi e costruire il coordinamento tra i soggetti (pubblici e del privato sociale).

Uno strumento utile è sicuramente il Piano di Zona triennale, che proprio per il suo lungo respiro ci permette di affrontare quella che a mio parere è la prima e più grossa criticità delle politiche per l’adolescenza: la continuità degli interventi.

In una regione e una città che non hanno abdicato alla difesa del welfare e ad un certo modo di fare amministrazione, abbiamo la fortuna di vedere finanziati interventi, indagini, iniziative. Il guaio è che poi, finiti i soldi di quel finanziamento, finisce anche il progetto e i risultati si disperdono, le aspettative vengono disattese, le relazioni costruite con i ragazzi si risolvono magari in delusione. Fino al successivo progetto finanziato, magari con altri ragazzi, altri operatori, un altro obiettivo, senza poter consolidare i risultati e far tesoro di quanto si è capito.

La prima parola d’ordine dev’essere certezza della continuità: una volta definito un obiettivo, individuata una criticità si deve continuare ad investire e a lavorare, si molla solo se il problema è risolto. Senza contare che sappiamo bene che le politiche dissennate di questo governo ci promettono un futuro con minori fondi per gli enti locali e problemi sociali sempre più gravi: più che mai avremo bisogno di continuità, lavoro in rete, politiche organiche.

Ma oltre a parole d’ordine chiare, dobbiamo avere proposte. Provo a farne una concreta. Parto dalle difficoltà occupazionali, che sono serie per tutti ma in particolare per i giovani: il tasso di disoccupazione nazionale nel 1° trimestre 2008 è triplo nella fascia 15 - 24 anni (dati Istat); in un quadro così, che possibilità hanno i giovani di cui parliamo, quelli che a stento hanno finito l’obbligo, quelli più borderline, più problematici? Quasi nessuna. E in prospettiva la situazione può solo peggiorare, se non si attivano, diffusamente e con continuità, percorsi di inserimento lavorativo tutelati. Molti di questi ragazzi frequentano scuole di formazione professionale, per imparare un mestiere, ma si tratta per lo più di un’offerta formativa abbastanza uniforme e ripetitiva: parrucchiera o estetista, elettricista o meccanico, al più operatore di segreteria. Ma davvero c’è bisogno di tutte quelle parrucchiere, di tutti questi elettricisti? Il primo punto è che sono convinto che la programmazione dei corsi vada rinnovata e collegata ad un monitoraggio continuo della effettiva domanda del mercato, altrimenti il rischio è che questi ragazzi si ritrovino alla fine con una qualifica inutile ai fini occupazionali.

Poi c’è lo strumento della borsa lavoro: un periodo di inserimento in un’azienda, finanziato dall’Ente pubblico, grazie al quale acquisire competenze tecniche e relazionali e fare un’esperienza concreta del mondo del lavoro, oltre a poter trasformarsi in un vero rapporto di lavoro se funziona la sperimentazione reciproca (il borsista sperimenta una vera situazione lavorativa, l’azienda sperimenta le capacità del borsista). E’ uno strumento importante, che spesso offre una chance di inserimento a ragazzi che altrimenti sarebbero tagliati fuori; ma il rischio sempre dietro l’angolo è che la borsa lavoro si trasformi in un parcheggio sociale temporaneo: per evitarlo bisogna che le borse lavoro si integrino pienamente con la formazione professionale, siano programmate in sinergia con essa, anche nei tempi, in modo da permettere al ragazzo di consolidare gli apprendimenti, contestualizzarli e concretizzarli.

Insomma la sfida è quella di rivedere il percorso per questi giovani mettendo maggiormente in rete i soggetti che se ne occupano, con una forte regia dell’Istituzione locale, prevedendo nuove modalità di accesso alle borse lavoro, nuovi corsi professionali.

Ma soprattutto: perché nel progettare corsi professionali che abbiano sbocchi sul mercato, gli Enti Locali non cominciano con il “guardarsi in casa”? Propongo di inserire in programma la previsione stabile negli appalti comunali di una quota di borse lavoro da utilizzare nelle imprese vincitrici: è possibile inserire nei capitolati degli impegni precisi, che richiamino le aziende alla pratica della responsabilità d’impresa, collaborando con il Comune alla formazione e all’avviamento al lavoro dei ragazzi con maggiori difficoltà; inoltre si può affiancare efficacemente a questa pratica un ruolo attivamente propositivo del Comune nella programmazione dei corsi di formazione professionale che preveda i profili per i quali è lo stesso Ente pubblico a creare una domanda, con i suoi appalti: giardiniere per la manutenzione del verde, ad esempio, o manutentore, ma la gamma degli appalti comunali è ampia e variegata.

In sostanza, si tratta di mettere in comunicazione due diverse attività del Comune, che da una parte è ente appaltante e dall’altra si occupa di sostenere e seguire i suoi giovani cittadini: sosteniamo l’interazione, il lavoro in rete, la collaborazione tra enti, a maggior ragione dobbiamo incentivare queste modalità tra i settori della grande macchina comunale, che proprio per la sua complessità e per l’inevitabile separazione delle competenze amministrative degli uffici rischia di funzionare come una somma di camere stagne. Sta alla politica attivare questi circuiti virtuosi, creare i “vasi comunicanti” nella macchina-Comune che sempre più trasformi la macchina in organismo. Io credo che sia fattibile, anzi facile, e sono convinto che sia una delle proposte che varrà la pena inserire nel programma di una sinistra di governo per Bologna.

Riccardo Malagoli



1








































Studenti che hanno abbandonato gli studi (per 100 iscritti) - A.S. 2006/07

BolognaItalia
totali0,91,6
I1,22,4
II0,71,4
III0,91,7
IV1,51,7
V0,40,7

dati Servizio Statistico - MIUR
15 agosto, 2008

Chi ha bisogno della Sinistra?

Pubblichiamo volentieri una riflessione di Antonio Casillo - Presidente del circolo La Fattoria, storica realtà dell'associazionismo bolognese.


Ho letto tutto d’un fiato il documento di Riccardo Malagoli e Maurizio Zamboni. Non ho avuto modo di riflettere sufficientemente, e non mi è stato possibile partecipare a l’incontro del Baraccano, mi manca il confronto che tra l’altro mi interessa molto.

Comunque, provo ad esprimere un paio di cose che mi frullano per la testa da un po’ di tempo.

Premetto che mi riconosco completamente nel documento di Riccardo e Maurizio in particolare sulla necessità di stare in campo con senso di responsabilità e realismo.

L’esperienza amministrativa è diversa da quella politica, riuscire a mantenere il giusto equilibrio tra bisogni, opinioni, modalità diverse d’intervento e risorse disponibili, leggi e regolamenti è una roba da non dormire la notte. Qualcuno lo deve fare e qualcuno lo farà… Se a una città, a un quartiere gli capita, sceglie delle persone oneste, appassionate come Riccardo Malagoli: i cittadini, le associazioni ed anche i partiti non se lo possono far sfuggire! (parlo per conoscenza personale)

Invito tutti a riflettere e magari aprire un confronto largo su chi siamo, dove vogliamo andare?

La mia esperienza sindacale, politica ed amministrativa mi ha insegnato che se andiamo “via” le nostre idee, le cose per cui ci siamo sempre battuti con passione, non vanno avanti anzi!

Che fare? Tutti hanno fatto bene, tutti hanno ragione, intanto ci ritroviamo Berlusconi e tutto lo schieramento di centrodestra più forte di prima, un paese che arretra e i meno abbienti che stanno sempre peggio a cominciare dai giovani che hanno d’avanti a sé un futuro sempre più incerto e precario.

In questi anni il nostro paese si è profondamente berlusconizzato, credo che noi stessi ne siamo lambiti se non di più…

Sono convinto che si debba costruire una proposta nuova, rivoluzionaria, dimostrare che un altro mondo è davvero possibile, altrimenti la sinistra non ce la può proprio più fare.

Il requisito principale per essere credibili è dimostrare realmente di essere al servizio dei cittadini e non di sé stessi.

E’ tutto molto difficile, non lo nego, lo so che è più facile seguire la corrente - tra l’altro impetuosa - dell’arraffare, dell’auto-promozione di sé stessi e dei “fedelissimi”. La qualità principale richiesta è essere un po’ gaglioffo, non vedere non pensare non parlare, eseguire.

Che fare? Si può provare a vedere se c’è il coraggio di aprire un confronto su due o tre cose che si possono fare insieme e provare a chiudere i vari piccoli negozi (partiti) esistenti abbandonando i tanti piccoli egoismi per creare un buon centro commerciale dove in tanti di più ci potremmo riconoscere…

Sono convinto che a sinistra oggi più di ieri c’è lo spazio per una formazione politica moderna, seria unitaria e solidale che si ispira al socialismo europeo democratico e ambientalista.

Che fare? Sarebbe bello e importante che proprio da Bologna partisse la scintilla per costruire quello di cui, a mio modesto parere, avrebbe bisogno tutto il paese ma in particolare quella parte sana che non ne vuol sapere di farsi berlusconizzare e lotta tutti i giorni per un paese migliore.

Infine, Bologna a mio avviso è stata bene amministrata, si poteva fare meglio? E’ difficile dirlo dal mio punto di osservazione, perché io vivo in periferia al Pilastro, S. Donato e ho avuto le mie gatte da pelare…

Cosa mi è arrivato dalla città, a me “pilastrologo”: il protagonismo del Sindaco, con la sua forte impronta sulla città, lo giudico positivo, ho apprezzato in particolare la non accettazione che intorno a Bologna crescessero delle favelas come nei paesi del terzo mondo. Sono per lo sviluppo ordinato del territorio e contro le prepotenze.

Mi è pure giunta l’eco di un lamento continuo, di un malessere, che tra l’altro vedo crescere un po’ ovunque, contro il rispetto delle regole. Bologna non è esente da ciò che dilaga nel paese.

Faccio fatica ad esprimere altro, non avendo la conoscenza diretta, poi le diatribe bolognesi non mi appassionano.

Attacchi e risposte non le ritengo utili, sono per il confronto onesto, democratico delle idee capaci di dare risposte adeguate ai problemi sempre più complessi della nostra città.

Antonio Casillo
06 agosto, 2008

Marcinelle: quei morti che non ci hanno ancora insegnato niente

la mattina dell'8 agosto 1956, nella miniera di Marcinelle, in Belgio, priva delle più elementari norme di sicurezza, nel pozzo numero 1 morirono in un incendio 262 uomini, di cui 136 italiani e 95 belgi: una delle più grandi tragedie dell'emigrazione e del lavoro (dello sfruttamento del lavoro).

Venerdì 8 agosto alle 10,00 presso la stele che ricorda questi morti - e tutte le morti sul lavoro - in via Garavaglia, 7 (accanto alla sede del Quartiere San Donato) si svolgerà una commemorazione promossa dalla Federazione Italiana Lavoratori Emigranti e Famiglie in collaborazione con il Quartiere.

Sarà un momento di raccoglimento e un modo per esprimere solidarietà, in particolare in un momento in cui sui giornali leggiamo che ci sono più morti sul lavoro che per episodi di criminalità; e questo chiarisce bene quale sia la vera emergenza sicurezza del paese.

Le chiamano "morti bianche" ma piuttosto andrebbero chiamate "morti nere", perché spesso sono il frutto velenoso del lavoro nero, o comunque del lavoro poco tutelato, poco rispettato.

Sinistraperfare invita chi sarà in città a condividere quel ricordo, venendo venerdì mattina in via Garavaglia.
02 agosto, 2008

Ambiente, territorio, lavoro: una proposta

"lo sviluppo è sostenibile se crea benefici attraverso opportunità economiche e sociali"
questa frase campeggia nella pagina del sito del Gruppo Hera dedicata alla responsabilità sociale.

Sono assolutamente d'accordo con questa affermazione e proprio per questo vorrei provare a fare una proposta che potrebbe mettere proprio Hera al centro di un'azione di sviluppo sostenibile; per il nostro territorio, per l'ambiente e, perché no, anche per il lavoro.

la Cartiera del Maglio
Parto da una 'brutta storia', quella della Cartiera del Maglio di Pontecchio Marconi, che è in crisi e rischia di essere messa in liquidazione: più di 80 lavoratori rischiano il posto (i 63 lavoratori della cartiera e i 20 della collegata cartotecnica di Arsiero, vicino Vicenza).

All'inizio di luglio si è riunito un tavolo di salvaguardia in Provincia a cui però la proprietà dell'azienda ha dichiarato che chiederà la Cassa Integrazione per gli operai.

La volontà delle Istituzioni del territorio, del sindacato, del mondo politico non manca, vista la grande importanza economica della Cartiera per Sasso e l'intera Valle del Reno, ma il timore è di vedere andare in scena ancora una volta un copione che abbiamo già visto, una storia che si è ripetuta troppo spesso in questi anni: un'altra azienda "storica" del nostro territorio, un'eccellenza con moderni procedimenti produttivi, certificazioni di qualità, bassi costi, che chiude.

Eppure sono convinto che non bisogna arrendersi, che anzi la Cartiera del Maglio potrebbe non solo 'risorgere' ma essere il perno di un progetto innovativo.

Hera e la carta recuperata
E qui entra in scena Hera: nel settore ambientale Hera gestisce l'intero ciclo di recupero e riciclaggio, dalla raccolta al trattamento, con recupero e smaltimento. In tutta la provincia è Hera che si occupa di raccogliere la carta da mandare al macero, che successivamente conferisce per il riciclo ad altre aziende.

Non stiamo parlando di piccole quantità: dati Hera dicono che carta e cartone costituiscono il 20,2% della raccolta differenziata, che a sua volta è pari a 226 kg all'anno per abitante dell'Emilia Romagna ci rendiamo conto che anche limitandoci alla provincia di Bologna (quasi un milione di persone) parliamo di una quantità enorme di carta da riciclare, visto che la carta conferita alla differenziata è adatta al reimpiego nei cicli produttivi.

La raccolta differenziata, tra mille difficoltà, sta aumentando, grazie anche e soprattutto ad un aumento della consapevolezza e dei comportamenti 'ecologici' dei cittadini, lo conferma il rapporto 2007 del Comieco, che è il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica, che descrive un vero 'boom', con il 70% degli imballaggi immessi al consumo avviato al riciclo. Quando l'ho letto ho stentato a crederci: mi sembra fin troppo bello!

E ovviamente all'aumento della raccolta differenziata segue anche un aumento nella produzione dei materiali riciclati, con conseguente necessità di impianti nella filiera del riciclaggio, e i materiali prodotti a loro volta devono essere collocati sul mercato...

Gli Enti Locali
Gli acquisti pubblici rappresentano circa il 14% del mercato europeo per prodotti come il legno e la carta, e "possono diventare un potente motore di promozione e di orientamento per tutto il mercato", come si augura Greenpeace. Nel nostro piccolo di provincia bolognese questa affermazione si traduce nella necessità di convertire una quota sempre maggiore degli acquisti e consumi degli Enti Locali del territorio in acquisti e consumi verdi, innanzitutto la carta: ormai tutti i pregiudizi sulla scarsa qualità e 'resa' della carta riciclata sono stati smentiti dai fatti e bisognerebbe arrivare a che ogni foglio che esce da un ufficio pubblico sia un foglio di carta riciclata.

C'è anche una legge dello Stato (la Legge N. 283 del 5 giugno 1985) e più specifico ancora un Decreto del Ministero dell'Ambiente (D.M. 8 Maggio 2003, n. 203) che prevede che gli uffici pubblici coprano i propri fabbisogni con prodotti ottenuti da materiale riciclato per non meno del 30%. E questa è la misura minima: perché non porsi obiettivi più ambiziosi, visto che tra l'altro la carta riciclata costa in media il 15% in meno di quella in fibra vergine.

D'altra parte il Comune di Bologna ha aderito al progetto di Greenpeace "città amiche delle foreste" che promuove tra l'altro l'utilizzo di carta riciclata con tecnologie pulite negli uffici pubblici. E la provincia di Bologna sostiene e partecipa con la Regione Emilia Romagna al Gruppo di Lavoro per gli Acquisti Verdi. Il progetto degli Acquisti Verdi punta ad "integrare considerazioni di carattere ambientale nei processi d’acquisto delle pubbliche amministrazioni. Più in particolare, utilizzando la definizione della Commissione Europea, 'GPP (Green Public Procurement) è l’approccio in base al quale le Amministrazioni Pubbliche integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minore impatto possibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita'. Si tratta di uno strumento di politica ambientale volontario che intende favorire lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale attraverso la leva della domanda pubblica"

La proposta
Mettendo insieme i 'tasselli' elencati fino ad ora credo che venga naturale pensare che Hera possa e debba chiudere il ciclo dei rifiuti, per quanto riguarda la carta, riciclando in proprio il materiale raccolto, che si valuti la possibilità di rilevare la proprietà della Cartiera del Maglio, salvaguardando l'occupazione, e riconvertirla per produrre carta riciclata che potrebbe avere come acquirenti gli stessi comuni della provincia, che di Hera sono azionisti, iscrivendo la Cartiera al Repertorio del Riciclaggio (istituito con lo stesso D.M. 203) per il settore della carta.

In sintesi, Hera raccoglie la carta recuperata, la conferisce alla Cartiera del Maglio, che la trasforma in prodotti di cancelleria, che vengono acquistati dai Comuni della zona (e magari non solo da loro): ciclo 'a kilometro zero', amico dell'ambiente, che salvaguardia l'occupazione (e magari ne crea), e aiuta i bilanci dei Comuni e anche di Hera.

Vista così è la quadratura del cerchio; certo bisogna sentire gli esperti ma mi sembra che valga la pena farla questa valutazione, anche considerando le necessarie ristrutturazioni: la Cartiera come dicevo ha impianti moderni, certificazioni di qualità (anche sul piano dell'impatto ambientale), ed anche se sarà necessaria la riconversione degli impianti che attualmente producono carta da sigarette (che ha bisogno di materie prime vergini) non credo che questo possa essere un ostacolo per un'azienda del calibro di Hera.

Salvaguardare l'occupazione di questi ottanta lavoratori sarebbe già un risultato in sé, che concretizzerebbe la responsabilità sociale d'impresa di un'azienda come Hera, che non dimentichiamolo anche se quotata in borsa, ha un capitale a maggioranza pubblica. Ma si dice che le imprese "non fanno beneficenza" e ci mancherebbe: per una azienda che si occupa di ambiente, che gestisce il recupero, poter 'chiudere il ciclo' senza conferire ad altre aziende la carta recuperata è anche e soprattutto questione di riduzione dei costi, efficienza e strategia:
" * il costo della materia prima riciclata è notevolmente più basso di quello della pasta di legno, i relativi scarti possono essere utilizzati come combustibile cogeneratore del vapore necessario al processo di fabbricazione, e la produzione è meno inquinante;
* il riciclaggio riduce la quantità di rifiuti da trattare, i relativi costi di stoccaggio, lo spreco di spazio da destinare allo stoccaggio medesimo, l'inquinamento da incenerimento" (fonte Wikipedia).
I Comuni di questa provincia, Bologna in testa, detengono una consistente quota di proprietà di Hera, che ha 180 diversi azionisti pubblici, prevalentemente Comuni della Regione Emilia Romagna che detengono complessivamente circa il 58,92% del capitale sociale, i comuni della provincia di Bologna detengono il 20,3% (dati Hera): bisogna che essi si facciano promotori di questa scelta coraggiosa, amica dell'ambiente e dei lavoratori, in una parola amica del territorio.

All'inizio ho citato una frase dal sito di Hera, che parla di sviluppo sostenibile ed era da un concetto di sviluppo sostenibile che ha preso l'avvio questa mia riflessione, unito alla rabbia e allo sconcerto di vedere chiudere un'altra fabbrica; ma mi è capitato in questi mesi di leggere "Elogio dello -spr+eco" del professor Segrè che, in termini semplici, comprensibili anche ad un profano come me, ragiona anche di 'decrescita'. Certo resta una scommessa, e forse un'utopia, ma - sempre ragionando terra-terra di buone pratiche amministrative - mi ha fatto piacere notare che, se mai la rinascita della Cartiera del Maglio si realizzasse, avremmo messo in pratica ben 4 R delle 8 del paradigma della decrescita, che cito dal testo di Segrè:

"Ristrutturare" significa adattare l'apparato di produzione e i rapporti sociali in funzione del cambio di valori. Può comportare la riconversione delle officine automobilistiche per realizzare apparecchi di recupero di energia per cogenerazione.
"Rilocalizzare" significa produrre localmente i prodotti necessari a soddisfare i bisogni della popolazione. [...] Se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono ridursi all'indispensabile.
[...]
"Ridurre" vuol dire ridurre gli orari di lavoro, ma anche diminuire l'impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare. Per far ciò occorre [...] "Riciclare" gli scarti incomprimibili delle nostre attività.

Concludendo, penso che questa sia un'idea da attuare già da ora, proponendola all'attuale maggioranza, ma che potrebbe rappresentare un modello per le prossime scelte programmatiche che riguardano l'ambiente e anche per dotare Hera di strumenti e scelte sempre più orientate al bene pubblico e alla salvaguardia ambientale e occupazionale.

Riccardo Malagoli
11 luglio, 2008

Governare da sinistra. Con l’accento sul fare

Sentiamo l’esigenza di porre a noi stessi una domanda: è stata utile alla città la nostra partecipazione in questi quattro alla sua amministrazione?

Non sono stati anni facili: governare è sempre una sfida difficile e lo è di più per la sinistra, perché ha nel DNA la volontà, il bisogno di trasformare l’esistente verso il meglio e l’esistente fa tanta resistenza…

E tanto più difficile è stato tenere insieme le diverse anime del centrosinistra. In questi anni la società italiana ha visto accrescersi la propria fragilità, le differenze sociali ed economiche, l’incertezza del futuro. Il forte ed articolato tessuto sociale che, in particolare nella nostra regione e a Bologna, ha dato speranze e riferimenti a tutte le componenti sociali si è progressivamente indebolito e molti si sono sentiti soli di fronte ad una società spesso avvertita come ostile. Le parole e le idee hanno cambiato senso, cavalcate troppo a lungo e spesso senza pudore da una destra aggressiva che ha alimentato l’egoismo e il particolarismo, fino a trasformarli nel motore che l’ha portata a vincere largamente le ultime elezioni nazionali fino addirittura ad escludere la sinistra dal Parlamento, per la prima volta nella storia della Repubblica.

Ora nel centrosinistra e nella sinistra stessa ci sono due reazioni opposte: da un lato la tentazione di inseguire per non perdere consensi, ad esempio un’idea di sicurezza che si nutre di paura del diverso, dall’altro quella opposta: negare il problema, senza dare risposte alle profonde domande che pure nelle persone restano e suppurano, disgregando il tessuto sociale se non vengono ascoltate e affrontate.

Di qui un conflitto che ha segnato, e non dobbiamo nascondercelo, i momenti più discutibili di questa esperienza di governo. Si sono accentuati i conflitti fra le diverse componenti della città e si è diffuso un senso di impotenza derivante dalla mancanza di una chiara, coerente e condivisa linea di azione, che intrecciasse strettamente le ragioni dell’integrazione sociale e della convivenza con quelle del diritto dei cittadini a fruire serenamente della loro città. Chi ci credeva ha spesso sofferto e ingoiato qualche rospo.

Ma per fortuna in tanti casi abbiamo superato queste differenze: è successo quando siamo stati tutti capaci di non perdere di vista il fare, ma un fare di sinistra, quello che, poi, lascia la realtà migliore di quanto l’aveva trovata. È successo quando siamo rimasti (quasi) tutti lì, a scontrarci sulle differenze fino a tirar fuori l’idea giusta, e nessuno ha “rovesciato il tavolo” o lo ha abbandonato: i risultati si sono visti. Come quando per tutti gli abitanti di via Casarini, dopo un passaggio a Villa Salus, è stata trovata una soluzione abitativa stabile e sicura, creando integrazione.

Insomma siamo i primi a non negare che la convivenza in questa maggioranza è stata difficile. Ma non c’è rappresentanza efficace delle classi popolari e difesa delle loro condizioni di vita e di lavoro al di fuori del perimetro del centro sinistra: il migliore e più armonico governo di centro destra non può che rappresentare interessi, ideologie, valori antitetici. E questo vale per Bologna come per il Paese: la destra reazionaria ha già alzato la testa e quasi quotidianamente assistiamo a pestaggi a immigrati, di gay, mentre l’omicidio di Verona viene definito dal Presidente della Camera Fini (altro regalo delle elezioni) “meno grave” che bruciare bandiere; i primi provvedimenti di politica economica e sociale, annunciano una stagione di attacco allo stato sociale e di ingiustizia sociale; si ri-materializza il fantasma di una stagione parlamentare di nani e ballerine.

E a Bologna, mentre critichiamo le manchevolezze di questa Amministrazione, non dobbiamo dimenticare l’arroganza dello stile amministrativo del centrodestra, durante il “regno Guazzaloca”: la noncuranza nei confronti dei Quartieri e delle loro istanze, l’imposizione delle indimenticabili “Gocce” nel cuore di Bologna, lo scippo alla città e il “regalo” ai privati della Sala Borsa, una politica urbanistica che ha stracciato il piano regolatore concedendo permessi di costruzione in ogni spazio vuoto del territorio, la deregolamentazione del traffico, e potremmo continuare a lungo...

Invece:
  • esenzione dei redditi ISEE bassi dall’IRPEF comunale che riguarda circa 1/3 dei contribuenti
  • lotta all’evasione (solo nel 2007 18.200.000 euro e circa 80.000.000 nel quadriennio 2004-2007da reinvestire nella città e maggiore giustizia nell’assegnazione delle risorse ai meno abbienti);
  • aumento dei posti nido e materna;
  • tariffe dei servizi comunali invariate per tutto il mandato; piano straordinario di edilizia scolastica;
  • chiusura delle strutture fatiscenti per immigrati e regolarizzazione dei residenti con attribuzione di alloggio (non solo Villa Salus, ma anche Ada Negri e Piratino);
  • costituzione dell’agenzia per l’affitto; trasferimento delle deleghe sulla persona ai Quartieri;
  • predisposizione di un Piano Strutturale Comunale (P.S.C.) che dimezza il numero di alloggi previsto dal PSC dell’amministrazione Guazzaloca, frenando così consumo del territorio e speculazione edilizia, e contiene l’idea forte di nuovo riequilibrio sociale, prevedendo alloggi a canone calmierato per chi non è così 'povero' da accedere agli alloggi popolari ma è schiacciato dai costi degli affitti;
  • chiusura al traffico non residente del centro storico (5 milioni di auto in meno ogni anno e diminuzione degli incidenti stradali nella ZTL del 19%);
  • nuovo regolamento ERP che dà anche ai lavoratori precari l’accesso alle graduatorie.

Eccoli alcuni dei risultati di un governo di centrosinistra della città, messi in fila, nero su bianco, uno dietro l’altro. Non ne esce forse l’abbozzo di una città più giusta e solidale?

E allora perché non rivendicarli con forza, farli conoscere, insomma! Perché questo “tafazzismo” del centrosinistra e della sinistra? TUTTI INSIEME abbiamo ottenuto risultati importanti, che con il centrodestra al governo sarebbero stati (sono stati) impensabili, risultati che TUTTE LE COMPONENTI di questa coalizione possono, devono rivendicare con orgoglio, e in continuità con i quali costruire le politiche future.

Il lavoro da fare è ancora tanto, tantissimo: mille problemi ha ancora questa città, questa società, tante ingiustizie permangono e anche se su alcuni temi anche importanti nel centrosinistra prevalgono opinioni che non condividiamo (a maggior ragione è importante esserci), la sinistra sa bene che la giustizia sociale si può raggiungere solo per approssimazioni successive: non si capisce altrimenti perché nel 2004 candidarsi a governare in coalizione.

Adesso dobbiamo lavorare per realizzare tutto ciò che ancora si può in quest’anno, cominciando con il riallacciare un dialogo con i cittadini - costruttivo e non fatto di slogan - che dia fino in fondo significato alla parola programma, che adesso bisogna costruire insieme ai cittadini.
Per ripartire abbiamo l’accordo di maggioranza, che ha dentro tanto del programma di mandato: realizzare quello che contiene rappresenta una sfida ambiziosa da qui al 2009. Se questo avverrà, (ri)nascerà in modo naturale una coalizione di centro sinistra, per proporre ai cittadini di Bologna una continuità politico-amministrativa.

E questo è necessario:
  • perché la sinistra è portatrice di qualcosa di prezioso: in un momento in cui rialza prepotentemente la testa un’idea confessionale di Stato, noi ne rivendichiamo la laicità, anche attraverso una differente visione del governo cittadino. È l’Amministrazione eletta dai cittadini che decide: tutti possono (devono) dire la loro, ma nessuno ha diritto di veto.
  • Perché quello che conta è difendere e migliorare le condizioni materiali di vita della gente, non “segnare punto” negli equilibri politici. E domandiamoci allora semplicemente: possiamo essere più utili ai lavoratori e ai cittadini stando insieme al governo della città (ma al loro fianco!) o dai banchi dell’opposizione?
  • Perché Il PD non può essere autosufficiente per il governo di Bologna: non è bene per la città, resterebbero fuori le idee e le persone che nel PD non si riconoscono, ma che potrebbero dare una grossa mano a tenere la barra delle politiche a sinistra.
Noi ci crediamo e non ci appassioniamo tanto ai nomi: non è importante chi sarà a portare avanti le idee in cui crediamo, quello che conta è che esse vengano rispettate e realizzate. Riteniamo che nella coalizione di centrosinistra ci debbano sempre essere gli spazi per il confronto e anche per il conflitto, ma bisogna insieme assumersi la responsabilità: la responsabilità di governo della città, la responsabilità verso i cittadini e gli elettori.

Per questo chiediamo a chi condivide questo appello di lavorare insieme per creare una condizione di governo futuro di questa città. C’è una sinistra a Bologna che è in grado ed ha voglia di governare. Lasciamo da parte le divisioni sterili e gli orgogli di parte: il momento è adesso.

29 giugno 2008


Maurizio Zamboni
Riccardo Malagoli


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risposta alla lettera aperta del circolo PRC di San Donato

Quella che segue è la mia risposta alla lettera aperta del circolo PRC Gino Milli di San Donato.


Non mi è mai passato per la testa che i risultati ottenuti in questi anni a San Donato siano "successi ottenuti da me": i risultati sono dovuti all'impegno quotidiano di tutti coloro che lavorano in Quartiere e le scelte sono discusse e fatte dalla maggioranza che governa il Quartiere. Di questa maggioranza fa parte anche il PRC con un suo consigliere: quindi i risultati eventualmente ottenuti, o gli insuccessi, sono anche del PRC, visto che li ha pienamente sottoscritti, né mai li ha criticati o si è opposto. E' senza dubbio comodo stare in una amministrazione, in una maggioranza e poi - quando si avvicinano le elezioni e si ha intenzione di correre da soli - cominciare ad attaccare ciò che è stato fatto come se in tutti questi anni si fosse stati all'opposizione; ho letto quindi la lettera aperta indirizzatami con un certo sconcerto.

Ricordo benissimo la stesura del "progetto Piratino", visto che tra gli "straordinari compagni del circolo" c'ero anch'io (anche se da come viene raccontato non si evince), essendo allora ancora iscritto al PRC. A rischio di sembrare immodesto, credo anche di aver portato un contributo alla stesura del progetto, se non altro perché avevo passato i dieci anni precedenti a fare il consigliere di opposizione in Quartiere ed ero già Presidente quindi conoscevo bene per forza sia il problema che i "meccanismi" dell'Amministrazione. Ma contributo ancora maggiore, direi decisivo fino alla concreta stesura, lo portò un altro compagno (ricordate?), che nel campo del Piratino lavorava già come operatore sociale. Anche lui oggi non è più iscritto a Rifondazione.

E visto che so bene che non bastano i proclami o i progetti ma bisogna lavorare tutti i giorni per realizzarli, trovare i soldi necessari, gestire i problemi, superare le resistenze etc etc., e queste cose le dobbiamo a tutti quelli che ci hanno lavorato concretamente in questi anni, non a chi dopo il giorno dell'inaugurazione non si è mai più visto o informato, se qualcuno mi sento di ringraziare sono queste persone. Questo per i risultati. Per le scelte, come dicevo, ci ha creduto fortemente tutta la maggioranza di Quartiere di cui, ripeto, Rifondazione fa parte e che ha collettivamente il merito e quando 'vanto' con orgoglio (e lo provo davvero) i risultati ottenuti in questi anni lo faccio ovviamente a nome di questa maggioranza, compreso il consigliere del PRC che tanto si è dato da fare sui bisogni sociali del quartiere. Questo significa essere in coalizione: agire collettivamente, e rivendicare meriti, assumersi colpe collettivamente. Salvo quando non si è d'accordo, ma non è questo il caso. Se il PRC, nei suoi organismi dirigenti, non si sente abbastanza 'in evidenza' nel merito collettivo, che non dà forse abbastanza lustro, non so che farci, mi pare questione un po' inessenziale.

Quanto all'aver "abbandonato correttezza ed onestà", non sarebbe ora di finirla con la tecnica dell'insulto? Ho posizioni fortemente critiche nei confronti del PRC da anni (ed in coerenza con questo ne sono uscito) ma non mi sono mai permesso di dare del disonesto o dello scorretto a nessuno di loro, anche nei momenti più caldi della polemica. Ho scelto una strada diversa dalla vostra, ma non per questo intendo subire ancora attacchi personali. Visto però che il livello è questo, mi sento autorizzato a ricordare agli scriventi che per abbandonare correttezza ed onestà, a leggere le dichiarazioni dei dirigenti del loro partito, che si accusano a vicenda di complesse disonestà congressuali, non sembra necessario abbandonare il PRC, come loro, con una certa boria, paiono credere. E vi vorrei tranquillizzare: l'"individuo che ha scelto la politica come mestiere", ha da più di trent'anni un proprio lavoro al quale tornerà alla fine di questa avventura, come del resto sapete benissimo. E vi ricordo comunque che 'la politica come mestiere' non è una cosa indegna, anzi, come testimoniano molti dirigenti cittadini del PRC.

Sulle politiche giovanili: "la stima per le persone che operano in Quartiere" pare più che altro una dichiarazione di facciata, visto che si riduce poi sbrigativamente a "qualche corso di ballo, qualche serie di films in biblioteca" il lavoro di quattro anni dei tanti che giornalmente, operatori o volontari, si impegnano per offrire opportunità, iniziative o attività ad adolescenti che altrimenti sì che sarebbero abbandonati a sé stessi!

Si rivendicano "anni di denunce", come se nella maggioranza che amministra e fa le scelte ci fosse qualcun altro. Troppo comodo, scusate!

Come troppo comodo dire che visto che c'è ancora il "vandalismo sub-culturale" vuol dire che le politiche del quartiere sono inutili. E' vero purtroppo: a San Donato, come in tutta Bologna (e in tutt'Italia), vi sono ragazzi che nonostante gli sforzi non riusciamo ad integrare. Ma davvero qualcuno pensa che le migliori politiche di quartiere possibili abbiano una risposta definitiva per questa generazione complessa e fragile? Che possano far sparire i vandalismi, l'abbandono scolastico, il disagio giovanile, come una bacchetta magica? Con le ragazzine che vendono autoscatti osè, quelli che abbandonano la scuola troppo presto, gli adolescenti irrequieti che si scatenano in danneggiamenti di scuole o arredi pubblici. Magari.

Ma è giusto (a parte queste semplificazioni strumentali) rendere conto di cosa abbiamo fatto per gli adolescenti. Visto l'elenco striminzito riportato nella lettera aperta, evidentemente c'è un problema di mancanza di conoscenza e allora provo a raccontare qualcosa e parto dal presente: questa estate è stato attivato un progetto, finanziato dal Quartiere, che coinvolge gratuitamente più di 500 adolescenti fino a tutto agosto, e che prevede attività sportive e culturali e soprattutto un programma che vede i ragazzi protagonisti attivi, che fanno proposte e richieste secondo i loro bisogni. Vi invito a venire alle premiazioni del torneo di calcio per incontrarli (circa 100 ragazzi coinvolti) martedì 22 luglio alle 17,30 davanti alla biblioteca del Pilastro: calcio e cocomero per tutti.

Ci sono due luoghi per adolescenti aperti sul territorio, uno in via Deledda e uno allo Zonarelli nei quali si svolgono molte attività, anche progetti volti al contenimento del disagio giovanile. Crediamo anche fortemente al valore dello sport e sosteniamo come possiamo tutte le offerte del territorio e dell'associazionismo, fino a finanziare le società sportive per i ragazzi le cui famiglie non possono pagare rette ed iscrizioni. Finisco con quei corsi di ballo, di fotografia, quei cineforum, liquidati con tanta sufficienza: sono importanti per giovani che spesso non hanno altre occasioni di incontro con l'espressione creativa e artistica, noi invece ringraziamo tutti quelli che mettono a disposizione di San Donato conoscenze, tempo e risorse per questi progetti che definite "senza risultati credibili", ad esempio i fotografi di FotoViva che è stato bello vedere impegnarsi con tanto entusiasmo.

Sugli spazi giovanili: è francamente pazzesco e offensivo che si liquidi Covo e Sottotetto come "strumenti di propaganda", naturalmente senza uno straccio di dato di fatto, di dimostrazione della presunta inutilità sociale. Come si fa a rispondere ad accuse così vaghe? Ma una cosa la devo dire: è normale, che i gestori ne traggano un profitto, visto che è il loro lavoro, dovremmo sperare che ci rimettano e falliscano, o una imprenditoria che abbia una utilità sociale è diventata una cosa brutta, quando non si tratta di 'compagni vicini'? Entrambi gli spazi sono stati affidati con convenzioni trasparenti e con un percorso con i cittadini, e sfido chiunque a dimostrare il contrario, al di là delle allusioni. Gli unici locali ben gestiti per il PRC di San Donato pare siano stati quelli "che hanno un punto di riferimento nella nostra organizzazione"… alla faccia della pluralità.

E poi, se ci interessano le politiche giovanili discutiamo una buona volta di abbandono scolastico, di mancanza di opportunità lavorative, senza riproporre sempre e solo l'eterna questione del Link: sono magari problemi più importanti di una bega fra vecchi e nuovi gestori, anche se riguarda iscritti del circolo PRC. Si tratta di uno spazio per il quale il Quartiere non ha neppure competenza, essendo convenzionato con il Comune, e nel quale si è avuta semplicemente una lotta fra due cordate contrapposte: una ha avuto la maggioranza dei soci l'altra no, almeno questo risulta dai verbali delle assemblee. E io la chiuderei qui, oppure si pensa che avrei dovuto 'promuovere' le persone che si propongono come 'amici'? Quindi non "rabbrividite", nessuna "vendetta".

Certo, è una singolare coincidenza questo attacco 'ad alzo zero' subito dopo la mia proposta pubblica di discussione a sinistra, proprio quella che il vostro segretario cittadino ha pubblicamente definito come il primo passo per una lista civetta "che mira ai voti di Rifondazione": tranquilli, se è questo il problema, non ho alcuna intenzione di creare una mia lista. Ma non è col pensiero alle elezioni che si recupera il consenso della gente a sinistra: con amarezza vedo che invece per voi la colpa è sempre degli altri.

Ma saranno i cittadini a decidere se il lavoro fatto in questi anni (anche da voi, anche se preferite fare finta di no) è in continuità con le vecchie politiche, fatte senza passione o entusiasmo. Pensate davvero che niente di buono è stato fatto fino ad ora? Ed allora che ci facevate in maggioranza, scusate? Se invece pensate di aver contribuito a buone politiche in Quartiere su scuola, sicurezza, sanità, anziani, cultura etc etc, perché non ne parlate? E poi dite che sbaglio a parlare di 'tafazzismo di sinistra'.

Riccardo Malagoli